Intervista a Massimo Laurenzi

Nell’ANAI esiste una categoria di soci, definita juniores, composta da tutti coloro che non possono essere considerati soci ordinari, ma che

sono iscritti a corsi di studio o stanno seguendo percorsi formativi professionalizzanti, ovvero abbiano conseguito i relativi diplomi o attestati da non più di 24 mesi e non svolgano ancora attività professionale tali da poter essere iscritti come soci ordinari [art. 9 Statuto].

I soci juniores hanno la possibilità di eleggere un loro rappresentante nazionale, che ha il diritto di partecipare alle riunioni del Consiglio Direttivo, senza però diritto di voto. Gli juniores sono quindi i “giovani” archivisti: chi si sta ancora formando o chi inizia a muovere i primi passi nel contesto lavorativo. E si sa, i giovani hanno esigenze diverse e un nuovo sguardo sulla realtà, per questo – in un certo senso – gli juniores rappresentano l’avanguardia dell’ANAI.

Alla testa di questa avanguardia c’è Massimo Laurenzi, rappresentante juniores neoeletto.

Laureato, Dottore, Bibliotecario e Archivista, il peso di un sapere acquisito e il peso di un sapere ancora da acquisire. Idee, tante Idee.

MassimoLaurenziHo scelto le sue parole per descriverlo, tanto per entrare subito nel personaggio: ovviamente giovane, necessariamente intraprendente e sorprendentemente digitale. Massimo Laurenzi è infatti parte integrante del team di archivitaliani.it un progetto molto interessante che cerca di legare attività editoriale, archivistica, marketing e web 2.0.

Vi aspettavate un archivista col golfino marrone e spessi occhiali da vista chiuso in uno scantinato impolverato? Ed ecco invece un giovane che, oltre alle competenze archivistiche, vanta la padronanza dei nuovi strumenti digitali, sia per lavorare che per promuovere la professione.

Chiaramente è un personaggio che mi ha incuriosito, così ho deciso di intervistarlo per chiedergli quali sono le sue idee e come intende metterle in pratica.

Domanda scontata ma inevitabile: quali sono i tuoi piani per il futuro in quanto rappresentante juniores dell’ANAI?

Inevitabilmente rispondo provando per di più a non essere scontato (cosa dura se si pondera). Confesso di aver lungamente avuto una radicale, per altro spocchiosa, avversione all’associazionismo in generale. Il ravvedimento e la scelta che ne deriva nasce dall’esigenza di impegnarmi attivamente.

Vorrei trasformare l’ANAI in un luogo più in sintonia con le reali necessità di un aspirante/inesperto archivista, ma è attraverso il confronto proposto nella partecipazione attiva di noi giovani tanto al dibattito quanto all’interesse che si arriva al cambiamento.
Esiste una reale necessità di costruire nuovi luoghi come nuovi momenti di confronto e trasmissione fra generazioni e bagagli competenziali differenti nel mondo archivistico. Credo che l’ANAI debba in primo luogo offrire questo ai suoi giovani associati e il mio impegno sarà ed è già in questa direzione.

Una prima piccola conquista? Il Consiglio Direttivo Nazionale ha accolto la mia proposta di comprendere almeno uno Juniores (speriamo ce ne siano di più) in ogni gruppo di studio o di lavoro che prenderà avvio in ANAI.

Sei parte integrante del progetto www.archivitaliani.it , come nasce e quali sono i vostri obiettivi?

[sorrido] Archivitaliani nasce ormai due anni fa, come contenitore di prospettive differenti – diverse erano e sono le nostre personalità: curiosità ed entusiasmo, passione per gli archivi e la scrittura, competenze ICT e Marketing, saturazione di culture maker e web 2.0 e un filo di pensiero definibile – seppur radicalmente fuori contesto per campo d’applicazione e per generazione – come punk.

Quello che ne abbiamo tratto è un progetto editoriale che lega insieme istanze culturali e prospettive di valorizzazione alternativa del nostro sterminato patrimonio archivistico. L’idea sottesa è quella di esporre al rischio della contaminazione il valore di un archivio – carte, persone e storie – imponendo attenzione sulla prospettiva d’interesse culturale e sociale di tutto questo.

Archivitaliani è nato leggero, atipico e condiviso e gli obbiettivi dopo due anni sono ancora gli stessi. Produrre ordine in divenire (dinamica tipica del lavoro archivistico per altro) trasformandolo in uno spazio partecipe di riflessione e condivisione sui confini della materia e del suo oggetto. Non a caso per noi scrivono, parlando di archivi, non solamente archivisti.

Qual’è il tuo parere sulla formazione degli archivisti oggi?

Dovremmo discutere e lungamente delle difficoltà strutturali dei percorsi (plurale) formativi in campo archivistico, per poi analizzare con attenzione la complessità di coniugare la connaturata presenza di corsi universitari e scuole APD (mi fermo qui, lasciando fuori master di I e II livello e percorsi di formazione connessi alla disciplina) e produrre nel merito un sistema virtuoso.
Quello che possiamo dire in poche parole è che questa stessa pluralità, in alcuni casi diviene, per mancanza di prospettive condivise e strutturazione d’insieme, ridondanza e riproposizione.

Auspicabile sarebbe la costituzione di un sistema integrato in cui la molteplice offerta formativa desse conto, in una visione complessiva, delle reali quanto difformi competenze necessarie ad un’archivista e che le impartisse predisponendo nell’insegnamento maggiore attenzione agli aspetti tecnici e pratici. In ANAI stiamo tentando di ragionare proprio in questa direzione, predisponendo un catalogo della formazione complesso e articolato, che integri e approfondisca proprio quegli aspetti e che presti un occhio di riguardo alle lacune emerse nei percorsi di formazione istituzionale.

I giovani archivisti che si affacciano per la prima volta nel mercato del lavoro si trovano davanti ad una waste land: da una parte la pubblica amministrazione, che offre la possibilità di investire il proprio tempo in lavori gratuiti al fine di maturare punteggi ed esperienza per posti che non si sbloccheranno mai, dall’altra la carriera da libero professionista tra tasse, spese e diritti negati. A tuo avviso, quali sono gli aspetti più problematici e come risolverli?

Se di “aspetti problematici” se ne individuano molti, ne esiste uno indubbiamente predominante: la mancanza di lavoro. Situazione in parte paradossale nello specifico della trattazione, se si considera invece quanto bisogno ci sia di archivisti preparati e qualificati sia nel pubblico che nel privato.

Tuttavia.. se volessimo smettere di avvilirci (solo per un momento prometto) potremmo prendere in considerazione che questa situazione è il volano su cui comporre, una nuova prospettiva professionale e generazionale. Gli archivi privati ad esempio non vennero considerati archivi per molto tempo, iniziarono ad essere percepiti come tali dalla disciplina e in seguito dalle istituzioni solo nel secolo scorso. Una parte di merito, per altro sostanziale, in questa evoluzione l’ebbe la capacità di pensare fuori dagli schemi della tradizione.
La nostra missione generazionale? forse…

Promuovere noi stessi e la nostra professione, convincere gli altri, e prima ancora noi che “un archivista potrà anche essere freak, ma il freak diventerà di tendenza”.
(D’altronde ce l’hanno fatta gli informatici, perché non dovremmo farcela noi?)

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